Be My Eyes - Ti posso chiamare?
Oggi, 21 Maggio è la giornata mondiale dell'accessibilità, nata per favorire e diffondere una maggior consapevolezza sul tema della disabilità e a concentrare l'attenzione sulle persone con handicap. L'evento mira a promuovere non solo l'inclusione ma soprattutto l'accesso alla tecnologia per chiunque abbia una disabilità.
Per l'occasione l'azienda statunitense che produce sistemi operativi, computer e dispositivi multimediali con sede a Cupertino ha inserito nel sito internet www.apple.com una pagina dedicata alle tecnologie Apple dedicate ai disabili. Nello specifico gli statunitensi parlano di volontà di far godere anche i più piccoli piaceri della vita quotidiana che oggi la tecnologia rende già possibili. La Apple si è già occupata del problema e ricorda a tutti, sempre tramite il sito web, che il vero valore di un dispositivo non si misura dalla sua potenza, ma dal potenziale che mette nelle mani di ognuno di noi. Solo successivamente, presenta le tecnologie di cui ogni dispositivo di dota, elencandole per tipologia di disabilità che si pone di agevolare.
Anche noi di Iperesse vogliamo celebrare questa giornata e lo faremo raccontando una storia imprenditoriale che accomuna innovazione, tecnologia e disabilità.
Il danese Hans Jorgen Wiberg, la cui vista si è ridotta in modo progressivo fino ad un campo visivo pari a soli 5 gradi, ha pensato di trasformare la sua vita partendo dalla sua malattia e dall'impegno assunto nei confronti di chi ha problemi simili ai suoi, raggiungendo l'opportunità di rivoluzionare il rapporto tra le persone.
Aveva solo 25 anni quando gli diagnosticarono una retinite pigmentosa. I suoi occhi si erano ammalati e in particolar modo, si era ammalata la sua visione periferica. Sarebbe partito tutto da lì.
Sulla base di quanto detto, qualche anno dopo ha ideato Be My Eyes (Sii i miei occhi). Essa è un'innovativa applicazione per smartphone che rende la vita più facile alle persone con disabilità visiva collegandoli rapidamente con dei volontari vedenti.
Questo permette ai disabili visivi di gestire e risolvere rapidamente e con efficacia i grandi e piccoli compiti quotidiani, mentre regala ai vedenti la gioia di aiutare una persona in difficoltà in modo semplice e informale.
Lo stesso ideatore indica quale sia l'ingrediente principale di Be My Eyes: la fiducia.
Wiberg ha sempre fatto volontariato in un'associazione danese per ciechi ed è sempre stato a contatto con loro, tanto che gran parte di loro ha confessato di sentirsi a disagio nel chiedere aiuto al vicino o al parente.
Ha preso spunto dall'esperienza di un suo caro amico, che dovendo chiamare qualcuno che conoscesse "per chiedere aiuto" utilizzava FaceTime, avendo difficoltà a svolgere le normali attività quotidiane e per tale motivo si faceva aiutare, per svolgerle, dai suoi familiari.
Tutti questi problemi con Be My Eyes non ci saranno, in quanto ci sono persone che si registrano per fornire assistenza ai disabili visivi in qualsiasi momento. Tale tecnologia delle videochiamate poteva essere usata per assistere visivamente gli udenti e non udenti, senza dover fare affidamento su amici e familiari, ma usando una rete di volontari.
Il funzionamento dell'app è semplice tanto quanto per la struttura per lei ideata: è dotata di un unico pulsante che connette i volontari con i non vedenti; una volta scaricata l'app, ci si può registrare come "Non vedente" o "Volontario vedente". Il disabile visivo tramite l'applicazione chiama il primo volontario disponibile che parla la sua stessa lingua. Il volontario sceglierà quando rispondere, ovviamente, e qualora rifiutasse la chiamata, questa, verrà passata ad un altro operatore. Oggi si contano 104 mila utenti non vedenti e 1.8 milioni di volontari. Questi ultimi sono molti di più perché l'app rende l'aiuto semplice, non serve andare sul posto o tenersi del tempo libero, basta rispondere al telefono.
Gli utenti di Be My Eyes possono richiedere assistenza in oltre 180 lingue, rendendo l'app la più grande comunità online per persone non vedenti e ipovedenti. Ogni giorno, i volontari si iscrivono a Be My Eyes per prestare la vista ai disabili visivi e affrontare i loro problemi quotidiani, tentando di risolverli.
Nel 90% dei casi le chiamate non vanno oltre i 3 minuti, altre anche 20 secondi; le chiamate vengono effettuate per controllare la scadenza di un cibo, per ritrovare un oggetto caduto a terra oppure perso in casa. o ancora, per farsi descrivere una foto.
Le testimonianze raccolte sul sito dell'azienda sono molteplici, ad esempio c'è qualcuno che lo ha usato per trovare da solo la strada il primo giorno di università oppure chi lo usa per compiere azioni che per altri non lo sono, come impostare il condizionatore sull'aria fredda.
Due testimonianze che ci hanno colpito particolarmente sono quelle di Antonio Quartraro e di Bryan.
Antonio: "Ho provato Be My Eyes per la prima volta di sera, avevo invitato degli amici a cena e per
l'occasione volevo sfoggiare la migliore bottiglia di vino della mia credenza. Tuttavia mi ero dimenticato di applicare alle bottiglie le etichette in braille e quindi ero nel panico. Ho aperto l'app e mi ha risposto un giovane brasiliano che parla anche l'italiano che mi ha aiutato nella ricerca della bottiglia". ["Fonte: La Repubblica"]
Bryan: "Ho avuto paura ad usare Be My Eyes, temevo che mi avrebbero riso in faccia perché chiedevo aiuto per compiere azioni che per altri sono normali: tipo fare una tazza di tè. Ma mi sono ricreduto subito, i volontari prendono il loro lavoro sul serio e ho capito che non c'è mai niente di stupido a chiedere aiuto". ["Fonte: La Repubblica"]
I feedback disponibili da chi ha usufruito dell'app sono positivi e si mette in evidenza la grande serietà dei volontari.
Di solito tra i volontari si registra chi ha un amico o un parente cieco o ipovedente, ma sono tantissimi anche quelli che hanno avuto il primo contatto con un non vedente tramite l'applicazione Be My Eyes.
In un primo momento l'app era disponibile solo per Apple, Iphone ma i programmatori hanno lavorato su versioni compatibili con Android, in modo da poter diffondere il più possibile il suo utilizzo.
La speranza è abbattere i muri sociali e anche superare la reticenza nel chiedere aiuto. E' bello sapere che vi è gente, anche dall'altra parte del mondo, pronta ad aiutare chi è meno fortunato di lui.
Il presidente toscano dell'Unione italiana ciechi e ipovedenti tiene a sottolineare: "Le applicazioni ci stanno aiutando, ma per rendere il mondo più accessibile a chi ha disabiltà visive servirebbe un cambio di mentalità".
Le considerazioni fatte dal Presidente non ci lasciano per niente di stucco; trattiamo la tematica da diversi mesi ormai e il team di Iperesse ha capito perfettamente che uno degli obiettivi primari è l'inclusione di qualunque soggetto possa essere definito "diverso" dal mondo esterno e dall'intera società, anche al costo, a volte, di essere totalmente dipendenti da dispositivi che dispensano tecnologie di ogni genere.
Tifiamo per loro e per la loro indipendenza per arrivare ad essere nelle condizione di scegliere se chiedere aiuto e non esserne costretti. Il nostro pensiero a riguardo può essere sintetizzato affermando: l'unione fa la forza!
La condizione di disabilità non preclude la possibilità di chiedere aiuto e allo stesso tempo non deve essere visto come un obbligo. Deve essere semplicemente un piacere rendersi utili per gli altri e prima di tutto per se stessi.
Siamo coscienti che questo post sia stato più lungo di tutti gli altri ma la tematica affrontata non poteva essere sintetizzata in nessun modo.
Fonte:www.repubblica.it
/www.independent.co.uk
Per l'occasione l'azienda statunitense che produce sistemi operativi, computer e dispositivi multimediali con sede a Cupertino ha inserito nel sito internet www.apple.com una pagina dedicata alle tecnologie Apple dedicate ai disabili. Nello specifico gli statunitensi parlano di volontà di far godere anche i più piccoli piaceri della vita quotidiana che oggi la tecnologia rende già possibili. La Apple si è già occupata del problema e ricorda a tutti, sempre tramite il sito web, che il vero valore di un dispositivo non si misura dalla sua potenza, ma dal potenziale che mette nelle mani di ognuno di noi. Solo successivamente, presenta le tecnologie di cui ogni dispositivo di dota, elencandole per tipologia di disabilità che si pone di agevolare.
Anche noi di Iperesse vogliamo celebrare questa giornata e lo faremo raccontando una storia imprenditoriale che accomuna innovazione, tecnologia e disabilità.
Il danese Hans Jorgen Wiberg, la cui vista si è ridotta in modo progressivo fino ad un campo visivo pari a soli 5 gradi, ha pensato di trasformare la sua vita partendo dalla sua malattia e dall'impegno assunto nei confronti di chi ha problemi simili ai suoi, raggiungendo l'opportunità di rivoluzionare il rapporto tra le persone.
Aveva solo 25 anni quando gli diagnosticarono una retinite pigmentosa. I suoi occhi si erano ammalati e in particolar modo, si era ammalata la sua visione periferica. Sarebbe partito tutto da lì.
Sulla base di quanto detto, qualche anno dopo ha ideato Be My Eyes (Sii i miei occhi). Essa è un'innovativa applicazione per smartphone che rende la vita più facile alle persone con disabilità visiva collegandoli rapidamente con dei volontari vedenti.
Lo stesso ideatore indica quale sia l'ingrediente principale di Be My Eyes: la fiducia.
Wiberg ha sempre fatto volontariato in un'associazione danese per ciechi ed è sempre stato a contatto con loro, tanto che gran parte di loro ha confessato di sentirsi a disagio nel chiedere aiuto al vicino o al parente.
Ha preso spunto dall'esperienza di un suo caro amico, che dovendo chiamare qualcuno che conoscesse "per chiedere aiuto" utilizzava FaceTime, avendo difficoltà a svolgere le normali attività quotidiane e per tale motivo si faceva aiutare, per svolgerle, dai suoi familiari.
Tutti questi problemi con Be My Eyes non ci saranno, in quanto ci sono persone che si registrano per fornire assistenza ai disabili visivi in qualsiasi momento. Tale tecnologia delle videochiamate poteva essere usata per assistere visivamente gli udenti e non udenti, senza dover fare affidamento su amici e familiari, ma usando una rete di volontari.
Il funzionamento dell'app è semplice tanto quanto per la struttura per lei ideata: è dotata di un unico pulsante che connette i volontari con i non vedenti; una volta scaricata l'app, ci si può registrare come "Non vedente" o "Volontario vedente". Il disabile visivo tramite l'applicazione chiama il primo volontario disponibile che parla la sua stessa lingua. Il volontario sceglierà quando rispondere, ovviamente, e qualora rifiutasse la chiamata, questa, verrà passata ad un altro operatore. Oggi si contano 104 mila utenti non vedenti e 1.8 milioni di volontari. Questi ultimi sono molti di più perché l'app rende l'aiuto semplice, non serve andare sul posto o tenersi del tempo libero, basta rispondere al telefono.
Gli utenti di Be My Eyes possono richiedere assistenza in oltre 180 lingue, rendendo l'app la più grande comunità online per persone non vedenti e ipovedenti. Ogni giorno, i volontari si iscrivono a Be My Eyes per prestare la vista ai disabili visivi e affrontare i loro problemi quotidiani, tentando di risolverli.
Nel 90% dei casi le chiamate non vanno oltre i 3 minuti, altre anche 20 secondi; le chiamate vengono effettuate per controllare la scadenza di un cibo, per ritrovare un oggetto caduto a terra oppure perso in casa. o ancora, per farsi descrivere una foto.
Le testimonianze raccolte sul sito dell'azienda sono molteplici, ad esempio c'è qualcuno che lo ha usato per trovare da solo la strada il primo giorno di università oppure chi lo usa per compiere azioni che per altri non lo sono, come impostare il condizionatore sull'aria fredda.

Antonio: "Ho provato Be My Eyes per la prima volta di sera, avevo invitato degli amici a cena e per
l'occasione volevo sfoggiare la migliore bottiglia di vino della mia credenza. Tuttavia mi ero dimenticato di applicare alle bottiglie le etichette in braille e quindi ero nel panico. Ho aperto l'app e mi ha risposto un giovane brasiliano che parla anche l'italiano che mi ha aiutato nella ricerca della bottiglia". ["Fonte: La Repubblica"]
Bryan: "Ho avuto paura ad usare Be My Eyes, temevo che mi avrebbero riso in faccia perché chiedevo aiuto per compiere azioni che per altri sono normali: tipo fare una tazza di tè. Ma mi sono ricreduto subito, i volontari prendono il loro lavoro sul serio e ho capito che non c'è mai niente di stupido a chiedere aiuto". ["Fonte: La Repubblica"]
I feedback disponibili da chi ha usufruito dell'app sono positivi e si mette in evidenza la grande serietà dei volontari.
Di solito tra i volontari si registra chi ha un amico o un parente cieco o ipovedente, ma sono tantissimi anche quelli che hanno avuto il primo contatto con un non vedente tramite l'applicazione Be My Eyes.
In un primo momento l'app era disponibile solo per Apple, Iphone ma i programmatori hanno lavorato su versioni compatibili con Android, in modo da poter diffondere il più possibile il suo utilizzo.
La speranza è abbattere i muri sociali e anche superare la reticenza nel chiedere aiuto. E' bello sapere che vi è gente, anche dall'altra parte del mondo, pronta ad aiutare chi è meno fortunato di lui.
Il presidente toscano dell'Unione italiana ciechi e ipovedenti tiene a sottolineare: "Le applicazioni ci stanno aiutando, ma per rendere il mondo più accessibile a chi ha disabiltà visive servirebbe un cambio di mentalità".
Le considerazioni fatte dal Presidente non ci lasciano per niente di stucco; trattiamo la tematica da diversi mesi ormai e il team di Iperesse ha capito perfettamente che uno degli obiettivi primari è l'inclusione di qualunque soggetto possa essere definito "diverso" dal mondo esterno e dall'intera società, anche al costo, a volte, di essere totalmente dipendenti da dispositivi che dispensano tecnologie di ogni genere.
Tifiamo per loro e per la loro indipendenza per arrivare ad essere nelle condizione di scegliere se chiedere aiuto e non esserne costretti. Il nostro pensiero a riguardo può essere sintetizzato affermando: l'unione fa la forza!
La condizione di disabilità non preclude la possibilità di chiedere aiuto e allo stesso tempo non deve essere visto come un obbligo. Deve essere semplicemente un piacere rendersi utili per gli altri e prima di tutto per se stessi.
Siamo coscienti che questo post sia stato più lungo di tutti gli altri ma la tematica affrontata non poteva essere sintetizzata in nessun modo.
Fonte:www.repubblica.it
/www.independent.co.uk
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